In molte aziende, la parola feedback evoca ancora immagini di colloqui tesi, schede di valutazione e momenti di ansia da prestazione. È il retaggio di una cultura del giudizio che per anni ha dominato le pratiche HR: quella in cui il feedback serviva a “valutare” più che a “far crescere”. Oggi però, in un mondo del lavoro sempre più orientato all’apprendimento continuo e al benessere delle persone, il modo in cui le organizzazioni gestiscono i feedback fa la differenza tra stagnazione e innovazione.
Le vecchie performance review annuali avevano un obiettivo preciso: misurare risultati, assegnare voti, definire bonus. Ma in questo modello, spesso si perdeva di vista la persona. Il feedback arrivava tardi, era unilaterale e troppo legato al giudizio del manager.
Le ricerche di McKinsey mostrano come le organizzazioni che adottano una feedback culture orientata alla crescita registrano fino al 30% di engagement in più rispetto a quelle che mantengono un approccio valutativo. Il motivo è semplice: quando il feedback diventa un dialogo continuo, basato su fiducia e trasparenza, le persone si sentono viste, ascoltate e responsabilizzate.
Questo cambio di prospettiva, però, non è solo un aggiornamento di metodo: è una vera e propria trasformazione culturale. Significa passare dal “ti dico cosa non va” al “vediamo insieme come migliorare”.
In un contesto di lavoro sempre più fluido, dove ruoli e competenze si evolvono rapidamente, il feedback non può più essere un appuntamento annuale. Diventa invece un processo continuo, integrato nella vita quotidiana dell’organizzazione.
Le aziende più innovative, come Google o Netflix, hanno sostituito le performance review con momenti di confronto frequenti e bidirezionali, che incoraggiano il feedforward: suggerimenti orientati al futuro più che al passato.
In questo approccio, ogni feedback è un’occasione per imparare e sperimentare. Secondo Deloitte, il 72% delle aziende che hanno introdotto modelli di feedback continuo ha registrato un aumento della produttività e un miglioramento dell’engagement del team.
Il focus si sposta quindi dalla correzione dell’errore all’ampliamento della competenza: non si tratta più di “valutare”, ma di “allenare” le persone verso il loro potenziale.
Il reparto HR ha oggi un compito chiave: creare le condizioni per una cultura della crescita diffusa. Non basta introdurre nuove procedure o piattaforme digitali di performance management; serve formare manager e team leader affinché sappiano dare e ricevere feedback in modo costruttivo.
Un buon HR Manager agisce come coach culturale, aiutando le persone a superare le resistenze legate al feedback — come la paura del giudizio o la difficoltà di esprimere critiche — e promuovendo una comunicazione basata sull’ascolto e sulla fiducia.
Come sottolinea PwC, il 79% dei professionisti HR considera la comunicazione empatica una delle competenze fondamentali per gestire efficacemente i feedback nei team ibridi e multiculturali.
Spesso si parla di feedback come di un tema tecnico, ma la verità è che si tratta di una leva di benessere. Quando i dipendenti ricevono feedback regolari e costruttivi, aumentano motivazione e senso di appartenenza. Al contrario, la mancanza di feedback o la sua gestione scorretta può generare stress, sfiducia e disconnessione dal contesto lavorativo.
Uno studio di Gallup ha rivelato che i dipendenti che ricevono feedback frequenti sono tre volte più propensi a essere coinvolti nel proprio lavoro. Inoltre, il modo in cui viene comunicato il feedback incide direttamente sulla percezione di equità e sulla fiducia nei confronti del management.
Nelle aziende più evolute, la gestione dei feedback è parte integrante delle strategie di employee experience: non un momento di valutazione, ma un rituale di cura. In questo senso, promuovere una cultura della crescita significa anche creare un ambiente in cui le persone possano sbagliare, riflettere e migliorare senza paura.
Oggi le tecnologie HR Tech offrono soluzioni avanzate per integrare i feedback nei processi organizzativi. Piattaforme come CultureAmp, Lattice o Officevibe permettono di raccogliere in tempo reale le percezioni dei dipendenti, analizzare dati sull’engagement e favorire conversazioni più mirate.
Tuttavia, lo strumento da solo non basta. Serve una visione strategica e competenze specifiche per trasformare i dati in azioni concrete. È qui che entra in gioco la formazione: saper leggere i segnali, individuare pattern ricorrenti, ma soprattutto interpretare i feedback come indicatori culturali e non solo prestazionali.
Alla radice di tutto c’è la fiducia. Nessuna cultura della crescita può esistere se le persone non si sentono al sicuro nel condividere opinioni, errori o proposte di miglioramento.
Costruire fiducia significa garantire coerenza tra ciò che l’organizzazione comunica e ciò che effettivamente pratica: se si promuove il valore del feedback, bisogna essere pronti ad accogliere anche quello scomodo.
Le aziende che riescono in questo equilibrio vedono nascere team più coesi, manager più consapevoli e una cultura del lavoro basata sull’apprendimento reciproco. In fondo, ogni feedback è una dichiarazione di fiducia: ti dico cosa penso perché credo nel tuo potenziale.
Saper gestire i feedback oggi non è solo una soft skill, ma una competenza strategica per guidare la trasformazione delle persone e delle organizzazioni.
Il futuro dell’HR è fatto di conversazioni aperte, apprendimento continuo e connessioni autentiche. E solo chi saprà costruire una cultura della crescita potrà guidare team resilienti e innovativi in un mondo in costante evoluzione.
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