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Quali cambiamenti sta attraversando il settore dell'HR e qual è il ruolo del digitale? Per scoprirlo abbiamo intervistato Gianfranco Chimirri, HR Director di Unilever e parte dell'Advisory Board del Master in Digital HR di Talent Garden Innovation School. Oltre ad essere Opportunity Maker, leader della trasformazione digitale di Unilever Italia e promotore di una rivoluzione culturale fondata sull’open innovation e una nuova definizione di azienda inclusiva, Gianfranco è anche socio dell'Advisory Board dell’Osservatorio HR Innovation Practice e dello European HR Leadership Team di Unilever.

Gianfranco, perché l’HR sta cambiando oggi?

Sta cambiando perché per l’HR è giunta l’ora mettere in discussione radicalmente sé stesso, il modo di concepire il proprio ruolo e di lavorare. Abbiamo vissuto per anni pensando che nel nostro ruolo ad un certo punto si possa campare di rendita sulla base dell’esperienza, mentre oggi facilmente si diventa obsoleti e si viene eliminati. Il vero cambiamento dell’HR è culturale: deve smettere di essere funzione specialistica e di supporto e diventare funzione di guida, equipaggiandosi in aree in cui è ancora meno forte, dalla conoscenza del business alla creazione di strategie, dal disegno organizzativo allo storytelling, alla capacità di portarsi dietro le persone nel cambiamento. Stiamo diventando digital e dobbiamo avere il coraggio di sfidare noi stessi come di fare challenge allo status quo delle aziende. 

Digital Transformation in primo luogo, cosa significa per te?

Posso farti quattro esempi. Primo, oggi tutti i processi HR vengono ricostruiti intorno all’”Employee Experience” e il modello HR della nostra struttura è figlio di questa visione. Abbiamo pochi “HR Business Partner”, strategici, responsabili dell’evoluzione del disegno organizzativo, della cultura e del “next generation talent” (nuovo modello di talento che si vuole sviluppare). Poi ci sono i ”People Partner”: persone dedicate al servizio dell’esperienza del dipendente. Un esempio di innovazione su cui abbiamo lavorato è l’introduzione di un chatbot che supporta il dipendente sugli aspetti gestionali-amministrativi in modo da renderli anche più automatizzati. Le persone del team HR rimangono di conseguenza come punto di riferimento nei “key moment” in cui l’esperienza del dipendente va oltre la tecnologia e si richiede creatività, problem solving relazionale, gestione degli aspetti emotivi ecc. Stessa cosa rispetto alla figura del recruiter, una volta un “meccanico del mondo HR”, che ora è un “Talent Advisor”:  fa pochi colloqui, definisce la strategia dell’employer branding, utilizza gli analytics dell’attraction, crea una rete di fornitori, disegna nuovi ruoli, gestisce il talento dall’inizio alla fine del suo percorso con un livello di qualità del lavoro di gran lunga superiore.  Secondo, i dati. Esiste l’”HR Data Analyst”: un professionista che fa analisi predittive che uniscono dati HR a dati di business, rispondendo a domande come “l’andamento delle performance sta impattando realmente sul business?” Terzo, il “New Way of working”. Agile e scrum che entrano nell’HR in modo importante, anche per farsi promotori di una nuova cultura manageriale. Quarto: la diversity. Si seleziona ancora troppo spesso persone uguali a sé e sempre dagli stessi ambienti. Invece bisogna selezionare persone lontane da sé: è fondamentale per dare prospettive che non si vedono e portare più valore in modo che tende ad essere imprevedibile. Da lì arriva la creatività e l’innovazione: dal mondo delle startup, da percorsi di apprendimento diversi, da esperienze in altri paesi.  Una delle ultime assunzioni in ambito HR che ho fatto è non a caso una persona che viene dal Brasile, che non ha mai visto l’Italia. Puntare in futuro ancora di più sul “future fit”, l’alto potenziale e non le competenze pronte è fondamentale, perché le persone nel contesto della digital transformation devono continuamente reinventarsi e imparare nuove skills. Se c’è l’attitudine le competenze si costruiscono. Non servono 10 anni di esperienza nelle relazioni industriali per fare la trasformazione digitale della fabbrica, che in ogni caso nessuno ha mai fatto. 

Parliamo del tema del “Purpose” delle persone. Qual è il suo ruolo in azienda e quanto è importante? 

Il “Purpose” è il punto centrale per tutta l’azienda a mio parere. Se ci pensiamo, l’obiettivo di un’azienda oggi non è più solo il business, ma impattare positivamente su tutti gli stakeholder, dai dipendenti ai cittadini, all’ambiente, al mondo nel suo complesso. Questo garantirà la sopravvivenza nel lungo periodo anche dell’azienda stessa. Tutti i brand che sono “purpose driven”, che comunicano dei valori e orientano a partire da questi anche le scelte di consumo delle persone, hanno dei risultati di business migliori, doppi rispetto a quelli che non ce l’hanno. Un’identificazione forte di questo tipo è persino divisiva per una parte della comunicazione, ma ha un valore fortissimo. Esiste quindi un’unica comunicazione tra brand e prodotti ed azienda, non più due livelli separati. Per le persone in azienda investiamo a 360 gradi: dal purpose, la capacità di focalizzare il proprio scopo nella vita, al trovare un job che realizza il loro purpose per poterle mettere nella situazione di dare il 120% ed essere realmente ingaggiate, perché si sentono realizzate. Poi c’è un concetto fondamentale di “employability” di cui la persona deve essere responsabile: viene responsabilizzata rispetto alla manutenzione delle proprie competenze utili a rimanere sul mercato. 

Spiegaci meglio cosa significa nella pratica.

Esiste un workshop incentrato sul purpose che proponiamo a tutti per identificarlo: significa individuare cosa ti fa alzare la mattina, ma anche qual’è il tuo brand personale. Ad esempio il mio è “opportunity maker”. Faccio questo di mestiere perché in ogni sua parte ho la possibilità di creare opportunità per le altre persone. Su questo concetto poi costruiamo il “Purpose Driven Individual Development Plan”, a partire dall’idea che prima di tutto tu, persona, sei capace di guidare il tuo percorso di sviluppo attraverso un percorso di learning experience continuo nel tempo. La visione generale è che si debbano sviluppare le persone, promuoverle e guidarle in coerenza con il purpose stesso. Questo diventa un driver di engagement, ma anche di retention e di attraction a monte, in particolare per le nuove generazioni. Un segno è che le persone smettono di presentarsi con le etichette vuote dei ruoli ed iniziano a parlare con gli “statement” che designano il loro purpose e in questo modo dicono qualcosa di realmente vero su di loro.

Con un processo così dal basso, aperto e sfidante, non si corre il rischio che la persona senta di non essere nel posto giusto per lei?

Sì, ci vuole molto coraggio.  Unilever non solo cerca di trovare una job coerente con il tuo purpose, ma se questo non è possibile entro i suoi confini aziendali, finanzia il tuo progetto professionale o imprenditoriale all’esterno dell’organizzazione. Perché c’è anche il rischio consapevole che la persona capisca che quello non è l’ambiente ideale per lei. In tal caso, però, non è un male “perdere” questa persona, perché non sta bene e non sarebbe motivata realmente in futuro.

Come tutto questo si lega al tema della Digital Transformation?

Si lega alla trasformazione digitale perché in un momento di forte cambiamento come questo le persone hanno bisogno di un punto di riferimento per rimanere salde nella tempesta. L’azienda non è più la grande nave che ti può proteggere a vita e che ti dice in cosa devi credere, è quel soggetto che ti supporta nel tuo percorso di vita nel mercato del lavoro, aprendo la prospettiva per sé stessa e per le persone che sta accompagnando. In Unilever, ogni professionista HR guida un pezzo di development e di supporto alle persone ed è attrezzato per farlo in tal senso.
Articolo aggiornato il: 28 giugno 2024
Talent Garden
Scritto da
Talent Garden, Digital Skills Academy

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