Cosa vuol dire guidare la Digital Transformation? La storia di Marco
Acquisire le giuste competenze per "mettere ordine nella complessità", senza però dover seguire per forza un percorso accademico tradizionale. La storia Marco Berra, ex studente di Digital Transformation Master, è quella di un professionista che ha scelto di investire nel proprio futuro, nella propria carriera, per fare passi in avanti e soprattutto fare rete.
Ciao Marco, hai voglia di raccontarci qualcosa di te? Ho 38 anni e ho frequentato il Master in Digital Transformation. Mi occupo di Operational Excellence: in pratica seguo programmi di miglioramento all'interno di industrie manifatturiere. Ho sempre lavorato per multinazionali (sia prima che dopo il Master): ci tengo a sottolinearlo perché per me è molto importante lavorare in aziende dove possa stare a contatto con culture differenti. Veniamo al sodo: perché hai scelto di seguire questo corso? Nel mio lavoro mi occupo di miglioramento continuo, sulla base di tecniche che sono nate negli anni '70/'80. Durante questi mesi di lockdown mi sono reso conto che mi serviva qualcosa che facesse ordine per gestire processi complessi e incertezza. Mi ero posto delle domande relativamente ai ad alcuni progetti che seguivo in azienda, sulla metodologia: volevo essere in grado di portare ordine nella complessità. Siamo sempre stati abituati ad avere gli stessi approcci tradizionali, ma oggigiorno il lavoro è più complesso. Perché hai scelto Talent Garden? Avevo già avuto modo di conoscere la realtà di Torino: 3 o 4 anni fa cercavo un posto dove lavorare da remoto e avevo visitato il coworking. In un secondo momento, con l’azienda, avevo visitato a Calabiana e ho scoperto i servizi B2B. Avevo già fatto un Master in Big Data, altrove, ma volevo un approccio differente rispetto a quello universitario. Cercavo qualcosa di meno accademico, meno imbastito. Volevo acquisire le competenze per mettere ordine nella gestione dei progetti ma anche un ambiente dove si potesse creare un Network, che per me è fondamentale: per questo ho scelto l'Innovation School, per fare un investimento su me stesso. Quali sono stati i punti di forza del Master in Digital Transformation? Sicuramente in primo luogo i docenti, per la loro competenza e la loro disponibilità. E poi mi sono piaciute le persone con cui ho collaborato: eravamo una classe eterogenea proveniente da tutta Italia, da business differenti ma con la stessa ambizione. Il Master poi era molto pratico ed era evidente tutta la passione di chi l'ha creato. Che cosa hai imparato che ti è servito di più nel lavoro? Senza dubbio la mia mentalità è cambiata: quando senti parlare persone di un certo calibro, quando spendi il tuo tempo a cercare di capire il problema... ecco, quello è proprio il valore strategico del Master! Poi i tool e le tecniche sono fondamentali, siamo d’accordo, ma la cosa in più è stato il cambio di mentalità. E ovviamente dopo il modo di sviluppare le idee: prototipare, confutare le ipotesi e poi vai avanti. Più in generale, che impatto ha avuto il Master nella tua vita professionale? Il Master ha fatto parte di un percorso di crescita: mi è servito per imparare a gestire progetti di una certa complessità, ho preso spunto per la didattica a distanza per il mio lavoro nella formazione. La DAD fatta con questi strumenti è tutta un'altra cosa. E poi ho messo a posto il curriculum, partecipato ai webinar… insomma, ho imparato a "vendermi meglio" e ho capito cosa volevo! Potrei dire che ho fatto marketing di te stesso a 360 gradi. Adesso ho cambiato azienda, mi occuperò sempre di Operational Excellence guidando a livello Europa la Trasformazione. Concludiamo con questa ultima domanda: che cosa significa per te essere un professionista della Digital Transformation? Ora fa figo il paradigma digital, però secondo me non bisogna innamorarsi della tecnologia, bisogna invece innamorarsi dei problemi senza dare nulla per scontato. Se si possono fare miglioramenti con cose semplici è perfetto, soprattutto perché poi bisogna produrre. Però poi non bisogna mai chiudersi nella propria visione, ma aprire la mente anche per progetti più disruptive. Le tecnologie oggi ci sono: bisogna aprirsi per esplorare. Senza i piccoli miglioramenti oggi non mangi, ma non bisogna precludersi la possibilità di investire in progetti disruptive.