Parlare di benessere psicologico in azienda non è più un tema di nicchia, ma una priorità per le organizzazioni che vogliono essere davvero sostenibili. Tra le figure che hanno contribuito a portare questa conversazione al centro del dibattito c’è Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro e Direttrice Scientifica di Mindwork, oltre che membro del Consiglio di Amministrazione.
TEDx speaker e autrice di tre libri dedicati alla salute mentale sul lavoro – da Come stanno i tuoi? (Vallardi, 2022) fino a Ritorno al benessere (FrancoAngeli, 2024) – scrive regolarmente per Il Sole 24 Ore e dal 2023 conduce insieme a Will Media il podcast Troppo Poco, un progetto nato per parlare senza filtri di stress, burnout e vulnerabilità. Dal 2020 è anche consigliera dell’Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi della Liguria, portando la sua esperienza e il suo impegno dentro e fuori le organizzazioni.
Inoltre, a partire da ottobre, Bianca Maria Cavallini sarà docente del Master in Risorse Umane & People Management Part Time di Talent Garden. Ecco la nostra intervista a lei:
Com’è nato e come si è evoluto il tuo percorso professionale? C’è stato un momento in cui hai capito che il benessere nelle organizzazioni sarebbe diventato il centro del tuo lavoro?
Decisamente sì. Ci è voluto un po’, però. Quando mi sono iscritta a Psicologia immaginavo di fare la psicoterapeuta. Poi il primo anno ho incontrato Psicologia Sociale, la disciplina che studia il nostro comportamento in relazione agli altri, e ho capito che c’era un mondo che ignoravo. Mi sono appassionata e il salto alla Psicologia del lavoro è stato breve. Ho cominciato il mio percorso professionale come formatrice nelle aziende ma all’inizio non avevo così chiara la centralità del benessere psicologico al lavoro. Negli anni, lavorando con le persone, mi sono resa conto che c’era sempre un comune denominatore: il senso di benessere - o malessere - che si sperimenta al lavoro. E che incide e influenza tutto il resto.
Dal tuo punto di vista, cosa serve oggi a chi si occupa di Risorse Umane per affrontare il cambiamento organizzativo con lucidità e proattività, invece che subirlo?
Serve un forte senso di ownership e di agency, per usare tue termini inglesi che però racchiudono un mondo. Serve anche curiosità e voglia di continuare a imparare. Tutte qualità e competenze che ritengo essenziali sempre, a prescindere dal ruolo HR. Chi si occupa di Risorse Umane ha oggi molto più peso che in passato, ma non sempre viene riconosciuto. Magari sulla carta sì, ma ricordiamoci che in molte aziende gli e le HR ancora ricevono un budget, non lo definiscono.
Qual è una competenza legata al people management che ritieni fondamentale sviluppare nelle organizzazioni di oggi, ma che viene ancora spesso trascurata?
Posso rispondere con “people management”? Penso che l’intera questione sia sottovalutata. Il piano relazionale è una responsabilità, tanto quanto quella operativa. La relazione è lo strumento per far sì che le cose accadano, che si lavori bene e che si stia bene. Tuttavia, ancora fatichiamo a ritenerla centrale e trattarla come tale. Dedicandole, in primis, troppo poco tempo.
Se dovessi descrivere il futuro dell'HR con tre parole, quali sceglieresti — e perché?
Ponte, coraggio e consistenza.
Ponte perché chi si occupa di HR dovrà essere sempre più in grado di collegare il sopra e il sotto, il fuori e il dentro e la destra e la sinistra (non in senso politico ma figurato!) dell’azienda.
Coraggio perché penso che, per prendersi lo spazio che merita, la funzione HR debba avere il coraggio di sfidare lo status quo, chiedere risorse e budget - se serve con insistenza - e spingersi fuori dalla propria zona di comfort.
Consistenza perché ritengo che nel prossimo futuro il ruolo HR sarà ancora più centrale e nevralgico e, perciò - mi auguro - solido.