SUBSENSE: L’importanza delle soft skill e di una forte cultura aziendale
Meet the Taggers.
Ogni eroe ha il suo antagonista che lo completa e lo sprona, così come qualsiasi storia che si rispetti, reale o immaginaria, ha il suo scontro leggendario: Alexander Hamilton contro Aaron Burr, Davide contro Golia, Austin Powers contro il Dottor Male, soft skill contro hard skill 💡
Se da un lato esiste un mondo del lavoro che guarda solo alla produttività e alla performance, dall’altro ci sono, per fortuna, realtà che invece investono molto nella cultura aziendale dedicando particolare attenzione alle persone che formano i team e alle loro caratteristiche.
Una delle discipline che ha senza dubbio un focus particolare sulle persone è il design: un progetto non può esistere senza tenere in considerazione costante coloro che andranno a usufruire del servizio o utilizzare il prodotto.
È proprio dall’attenzione per le persone, comune denominatore tra design e cultura aziendale, che nasce SUBSENSE, agenzia di design e consulenza della nostra Community di Milano Calabiana.
Abbiamo fatto una chiacchierata con Gianluca Cosetta, Founder e CEO, per farci raccontare i pro e i contro di aver fondato la sua azienda prima di compiere vent’anni, di come la sua precedente esperienza lavorativa abbia plasmato il suo approccio da imprenditore e soprattutto come operi SUBSENSE in relazione al suo team e ai propri progetti.
La tua figura professionale è cambiata nel tempo, quali sono i punti che sono rimasti fermi e che applichi ancora ad oggi, e quali sono cambiati?
Si possono fare tante evoluzioni di ruoli e di mansioni che possono anche cambiare il carattere e l’approccio al lavoro, alla base però devono sempre rimanere i propri valori: il modo di vedere le cose, di pensarle, di avere a che fare con le persone. Io cerco sempre di avere un equilibrio e questo mi aiuta nella vita di SUBSENSE: avendo fatto prima il dipendente e il consulente, adesso sono in grado di bilanciare perché so cosa vuol dire stare dall'altra parte. Poi ben venga il cambiamento, sia come designer che come imprenditore. Ora ho un approccio diverso rispetto a quando ho iniziato, quello che porto sempre con me sono i miei modelli di base, come la trasparenza, la condivisione, l’ascolto e lo scambio di opinioni sempre e comunque.
Ultimamente si parla molto dell’importanza delle soft skill, soprattutto in un mondo del lavoro in cui le competenze tecniche necessitano di essere costantemente approfondite: quanto contano per te in quanto figura a capo di un’agenzia?
Considera che quando in SUBSENSE iniziamo lo scouting di nuove figure tendiamo a ricercare soft skill e non hard skill perché con le prime ci nasci e se le sai esercitare poi puoi sviluppare tutte le competenze tecniche del caso. Io dico sempre “persona ci nasci, professionista lo diventi”. Chiaramente noi lavoriamo in un mondo come il design dove l’occhio lo devi avere anche un po’ innato, poi lo sviluppi e lo migliori, però di base lo capisci quando una persona è portata per quel lavoro, per quel segmento.
Sono convinto che il rafforzamento della competenza tecnica nasca comunque da una propensione che possiamo definire soft perché il desiderio di crescere e migliorare è un valore, quando poi questo è condiviso da un intero team è lì che può davvero esserci armonia.
Quanto gioca il fatto di essere così giovane e capo di una realtà già affermata? Sia da un punto di vista di approccio al lavoro e gestione dell’impresa, sia da un punto di vista di appeal per realtà esterne.
Ho una fortuna da questo punto di vista che è la barba, sembra banale ma non lo è.
Scherzi a parte, non è facile per me rispondere a questa domanda perché SUBSENSE nasce da una serie di circostanze non premeditate, da una coincidenza, e per me questo è un valore ma mi allontana dal classico imprenditore.
In generale il fatto di avere una leadership molto giovane dà freschezza, velocità, dinamismo, idee nuove, però dall’altra parte ti accredita poco perché molto spesso la reazione è “ma chi sono questi?”. In Italia purtroppo vige ancora la regola che sotto i quarant’anni non hai esperienza e devi ancora crescere molto professionalmente. Nonostante questo, avere una persona giovane a capo di un’azienda rimane per me una Value Proposition, ma va accompagnata dalla presenza di risorse nel team con una seniority di un certo calibro.
Nel nostro paese questo è un tema, spesso i giovani vengono usati come riflettori quando sono esponenti di casi di successo straordinari ma alla fine le cose non cambiano e rimane la retorica del ventenne che deve aspettare, fare la gavetta e non pestare i piedi ai più grandi. Secondo me il valore non va trovato solamente nelle persone che fanno imprenditoria. Io dico sempre che SUBSENSE esiste non perché ci sono io, ma perché c'è la gente che ci crede.
Se fossi stato solo non avrei fondato SUBSENSE, perché penso che il valore dell'azienda non risieda in colui che la crea o la mette in piedi, ma in chi ci crede e ci lavora.
SUBSENSE si propone come una realtà caratterizzata da una forte cultura aziendale, tu stesso l’hai definita in più occasioni un “collettivo”; ci spieghi cosa significa?
Noi ci definiamo collettivo perché SUBSENSE è nata con lo spirito di raccogliere persone, anche amici se vogliamo esagerare, con cui si sta bene dentro e fuori dall’ufficio. Come struttura siamo però un'agenzia e un’azienda vera e propria composta da un team multidisciplinare che lavora in maniera trasversale su più progetti. L’approccio ai diversi lavori cambia a seconda del cliente, noi in più ci mettiamo la tendenza a uscire dagli schemi, andando sempre un po’ oltre. L’anima del collettivo si ritrova nel fatto che siamo tutti versatili e dinamici proprio per questa multidisciplinarietà interna, ma abbiamo anche un’importante rete di freelancer che a bisogno ci supportano nei vari progetti.
Quindi quanto è importante per voi essere un brand?
Il concetto di brand per me è interessantissimo perché coinvolge molto le persone, operiamo in un mondo in cui nelle agenzie o nelle aziende tutti mandano avanti il proprio loro top player e poi magari crolla il castello nel momento in cui questa persona se ne va.
Il trasformarsi da un'azienda a un brand fa la vera differenza e ti posiziona, ti rende riconoscibile permettendoti anche di essere molto più spendibile da un punto di vista pratico.
Nel caso di SUBSENSE, ogni suo membro, rappresenta in toto l’agenzia e chiunque può garantire un alto livello nei progetti. In questo modo un cliente non avrà più a che fare con il Gialuca di turno, bensì con il brand stesso. A prescindere da chi si trovi davanti la qualità sarà sempre quella.
Ci parli di una cosa pratica che avete adottato in SUBSENSE e che favorisce lo scambio e la connessione di cui ci hai parlato?
Abbiamo integrato da poco la Candid Communication, un approccio che ha lanciato Netflix qualche anno fa e che si basa tutto sul feedback trasparente tra colleghi a prescindere dal livello. L’abbiamo introdotto a seguito di un percorso di group coaching con un’azienda di Madrid che ci segue dal punto di vista del change management. In pratica ogni volta che qualcuno ha un problema lo deve dire al diretto interessato, senza passare dal tutor o dal capo, in maniera diretta, trasparente e faccia a faccia.
Ti faccio un esempio, abbiamo un ragazzo in stage adesso e, se necessario, lui può venire da me in ogni momento e darmi un feedback, senza step intermedi.
Questo tipo di dinamica all’interno del team ci aiuta ad interrogarci su come possiamo migliorare e come affinare la nostra self-leadership.
Una vostra particolarità?
Siamo pochi, ma lavoriamo con player di grande rilevanza. Essere in quindici ci permette di essere snelli e veloci. In cinque anni di vita dell’azienda siamo riusciti ad entrare in contatto con decine di clienti in una ventina di industrie differenti. Lavorando come un brand ognuno di noi può gestire qualsiasi progetto in maniera valida e solida, chiunque sia porterà avanti SUBSENSE e non se stesso in quanto singolo professionista.
Da SUBSENSE sono passat*, e sono ancora presenti, studenti e studentesse dei master di Talent Garden, ad oggi professionist*, dando vita a uno degli scambi che più cerchiamo di promuovere in TAG: cosa cerchi nelle figure junior che selezioni per accrescere il tuo team?
L’incrocio con l’Academy di Talent Garden è stato un caso, è successo senza cercarlo. Quindi anche qui c’è stata una premessa in grado di generare il buon vecchio valore che abbiamo citato più volte.
Nello specifico, il nostro iter di selezione prevede un prova tecnica iniziale e un ultimo colloquio con me, che è quello più valoriale. Come accennavo prima per me la persona batte sempre il professionista, in più ammetto di avere il difetto di andare molto a primo impatto, ma so anche riconoscere bene che tipo di personalità è in linea con SUBSENSE.
Nel caso degli studenti dei Master che hanno fatto, o fanno parte, del nostro team sono stati tutti casi a sé: di Beatrice Merlo, uscita dal Master in UX, mi colpì il video di presentazione che fece proprio per la scuola ed ho pensato che fosse la persona giusta per noi. Appena assunta era già focus su un grande progetto come quello per Barilla.
In generale nei vari casi che ci sono stati si è sempre trattato di captare un’affinità, una connessione di pensiero che poi abbiamo approfondito lavorando insieme e che, ancora oggi, è il plus dell’agenzia e ci garantisce una forte cultura aziendale.