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Meeting Design e Ownership: come ottimizzare le riunioni all’epoca del remote working
Scritto da
Talent Garden
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Oggi abbiamo l’opportunità di fare due chiacchiere con Joshua Volpara, fondatore della casa editrice Ayros, partner di Kopernicana e ospite regolare come keynote speaker all'interno dei progetti del team di Corporate Innovation di Talent Garden. L’argomento è Meeting Design, uno dei più caldi del momento, specialmente dopo gli enormi e repentini cambiamenti che il mondo del lavoro ha subìto recentemente.
Quali sono state le conseguenze dell’atterraggio improvviso del remote working in Italia e nel mondo?
Una delle tante conseguenze del ricorso massivo al remote working coincide con uno degli atti che risultano sovente essere tra più surreali del teatro aziendale: la riunione. Questo era il tema di Leading Virtual Teams & Meetings, un webinar a cui ho assistito in pieno lockdown, tenuto da Brian Robertson, fondatore di Holacracy, uno fra i più conosciuti sistemi di self management. Spesso grottesche, surreali, vessatorie e soprattutto inconcludenti, le riunioni hanno letteralmente invaso la nostra giornata lavorativa. Le statistiche parlano chiaro, eccone alcune tratte dal volume Corporate Rebels di Joost Minnaar e Pim de Morree (l’edizione italiana curata da Kopernicana è uscita lo scorso autunno per Rubbettino Editore):“Una ricerca dell’Università del Nebraska mostra che ogni giorno negli Stati Uniti si svolgono fino a 55 milioni di riunioni, e che il dipendente medio trascorre sei ore della settimana in una di esse. È ancora peggio per i manager che, in media, trascorrono in riunione circa 23 ore a settimana. E almeno la metà di quelle ore alla fine è considerata ‘improduttiva’, ovvero una perdita di tempo e denaro. La dolorosa conseguenza, secondo i ricercatori, è che le organizzazioni sprecano 213 miliardi di dollari in cattive riunioni che, molto spesso, non fanno che peggiorare le cose”.
Com’è possibile migliorare le nostre riunioni?
I meeting tradizionali nascono con un ordine del giorno. Ovvio, no? Subito arriva un’osservazione controintuitiva: costruire l’agenda dei meeting in anticipo apre al rischio che la “teoria” possa prevaricare “l’esperienza”, cioè i veri problemi o le reali opportunità che le persone stanno incontrando concretamente. I punti dell’ordine del giorno assumono istintivamente la fisionomia degli argomenti da discutere con alcune diffuse e pericolose implicazioni che portano, ad esempio, a soffermarsi troppo sui primi punti dell’agenda o a una competizione per lo spazio da cui emerge chi ha più potere o chi è più aggressivo, Un modo alternativo di concepire le riunioni si fonda sul concetto di tensione: uno scarto fra dove siamo e dove potremmo essere che può essere negativo, un problema da risolvere, uno spreco da eliminare, o positivo, un’opportunità, una nuova direzione. I punti dell’ordine del giorno coincidono quindi con le tensioni e vengono portati dalle persone stesse in qualità di titolari dei propri ruoli, con l’obiettivo che in riunione accada ciò di cui l’organizzazione ha effettivamente bisogno in quel momento. A garantire che la prospettiva di ciascuno corrisponda a un reale bisogno organizzativo ci sono la consapevole responsabilità delle persone sul proprio ruolo e il riconoscimento da parte dell’organizzazione. In questo schema di lavoro le tensioni vengono tracciate all’inizio della riunione e poi sono processate una alla volta. Un facilitatore, non il capo, aiuta e sostiene il processo. Di fronte alla tensione portata dal collega, il facilitatore gli chiede: “Di cosa hai bisogno?”. Cosa dovrebbe fare l’organizzazione per risolvere la tensione? La risposta possibile abbraccia situazioni fra loro molto diverse. Alcune tra queste sono più impattanti di altre sulle dinamiche complessive dell’organizzazione. Per questo, in sistemi come Holacracy, si destinano questo genere di tensioni a riunioni specifiche, chiamate Governance Meeting: nel Governance l’organizzazione si modella sulla base degli stimoli delle persone che svolgono realmente il lavoro, per così dire, in presa diretta di fronte all’ambiente che la circonda. Tornando al processo, la discussione termina con il titolare della tensione che dice “Ho avuto quello che volevo”. La tensione è risolta: l’organizzazione ha messo la persona nelle condizioni di procedere nella direzione desiderata.Qual è la proposta di Robertson?
Robertson passa al setaccio altre caratteristiche ricorrenti dei meeting tradizionali, tra cui informazioni solo superficialmente condivise e priorità gestite unicamente da chi detiene il potere, suggerendo una visione alternativa:- La ricognizione su dati e metriche non risolve le tensioni. Occorre quindi destinare loro uno spazio dedicato e distinto.
- In questo spazio occorre concentrarsi sui soli aggiornamenti rispetto alla precedente riunione, non lanciarsi in rapporti o visioni panoramiche.
- Il facilitatore, come già detto, non è il capo. È lì per sostenere il processo, ne è il guardiano. Ciò aiuta a limitare che la “politica” inquini lo strutturarsi dell’agenda.
- Le tensioni sono catturate in un diario scritto e oggettivo.
Cosa sono i ruoli all’interno di una riunione?
Dev’esserci chiarezza sullo spazio in cui si esercita la leadership di ciascuno: se le persone non conoscono i limiti del proprio potere, non sono effettivamente titolari di ciò che fanno, non conoscono realmente il loro potere né la loro libertà. Il ruolo dunque si compone di questi elementi:- Un purpose. Siamo ormai abituati a ragionarne a proposito di imprese e altro genere di organizzazioni, ma ci sfugge spesso che lo stesso esercizio andrebbe fatto per i ruoli in azienda: qual è la loro ragion d’essere? Quale il loro contributo all’organizzazione?
- Un dominio. Un territorio esclusivo, una proprietà.
- Delle accountabilities. Ciò che l’organizzazione e le altre persone si aspettano dal ruolo, ciò di cui hanno bisogno per mandare avanti le cose. Le accountabilities possono intrecciarsi con quelle di altri ruoli.
Articolo aggiornato il: 09 agosto 2023
Scritto da
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