La situazione lavorativa in Italia: chi cambia lavoro e chi no
Professioni, mobilità, soddisfazione professionale: come sta andando il mercato del lavoro in Italia?
Tutti noi, esperti o meno, “maciniamo” costantemente dati per provare a capire e spiegare la realtà intorno a noi. Dati economici, dati sociali, dati politici: non è sempre facile orientarsi tra i numeri e le statistiche – ed è ancora più difficile se guardiamo ai dati per interpretarne l’andamento e immaginare cosa potrebbe accadere in futuro.
Questo naturalmente vale per tutti i settori, dalle scienze all’economia, incluso il mercato del lavoro, che anzi è in assoluto uno dei più complessi da analizzare.
In questo post vorremmo proporvi un viaggio nel mercato del lavoro italiano, provando a raccontarne le sfide e le opportunità. Ma proprio perché siamo realisti e consapevoli del fatto che un’analisi esaustiva sarebbe troppo complessa, si presterebbe a fraintendimenti, e probabilmente sarebbe anche fuori dalla nostra portata, abbiamo scelto di concentrarci su due aspetti che riteniamo fondamentali: il benessere medio dei nostri lavoratori e la mobilità professionale.
Vorremmo provare a raccontarvi soprattutto due cose. Primo: perché nel nostro Paese ci sono alcune posizioni professioni che soffrono di una bassa mobilità? Secondo, cosa impedisce ai nostri lavoratori di crescere, cambiando azienda, incarico e in alcuni casi anche area professionale?
Partiamo dai dati, ovviamente.
Fonte: ISTAT, 2023
Nel 2023 il mercato del lavoro italiano ha mostrato alcuni incoraggianti segnali di ripresa, pur rimanendo debole su alcuni fronti. Secondo i dati più recenti dell’ISTAT, il tasso di occupazione in Italia si attesta intorno al 59% nel 2023, leggermente sotto la media europea.
La disoccupazione giovanile rimane alta, con circa il 28,9% dei giovani tra i 15 e i 24 anni che non riescono a trovare impiego. Questi dati sottolineano anche la difficile transizione dal sistema educativo al mercato del lavoro per i giovani italiani. In generale il tasso di disoccupazione è di poco inferiore all’8% a livello nazionale, ed è più accentuato nel Sud del Paese.
Fonte: EDH, 2020
I problemi di fondo del mercato professionale sono soprattutto 3: anzitutto, quello della quota molto alta di “precari” con contratti a termine; poi quello delle competenze avanzate; ancora, quello delle basse retribuzioni; e, appunto, quello della ridotta mobilità professionale di numerose categorie professionali.
Vediamo meglio queste criticità: sono il fondamento della soddisfazione dei nostri lavoratori, e inoltre ci aiutano a capire come sta cambiando il lavoro nel nostro Paese.
- Iniziamo dall’occupazione. Abbiamo già detto che il numero di occupati a tempo pieno è aumentato nel corso dell’ultimo anno e, più in generale, dalla fine della pandemia. Secondo i dati di CGIA Mestre, complessivamente nel 2023 hanno trovato un impiego 23,6 milioni di persone, con un posto fisso per 8 dipendenti su 10. Buone notizie, dunque? Sì, ma non troppo. Purtroppo infatti queste assunzioni a tempo indeterminato non hanno rimpiazzato il numero dei cd. “precari”, cioè di quei lavoratori che collezionano contratti a termine da almeno cinque anni. Nel 2022 i precari nel nostro Paese erano il 17% del totale; mentre nel 2023 sono saliti al 18,1%.
Fonte: La Repubblica, 2024
- Arriviamo così al secondo grande problema del mercato del lavoro nel nostro Paese: abbiamo una quota troppo bassa di laureati, e più in generale di persone che completano l’università o conseguono un master. Pensate che in Italia sono appena il 28% tra i 25-34enni, rispetto a una media dell’Unione europea del 41%. Questo fa del nostro Paese il penultimo dell’Unione, davanti solo al 23,3% della Romania.
Vi state chiedendo perché sono così pochi i nostri laureati? Si possono dare molte risposte a questa domanda, ma sicuramente una tra queste è che l’aver conseguito un titolo di studio terziario non garantisce a chi lo consegue un salvacondotto dalla precarietà. Pensate che i laureati sono addirittura quelli che soffrono di più di precariato, con +2,4% tra i lavoratori a termine da oltre cinque anni. È come se il mercato del lavoro respingesse quelli che hanno dedicato più tempo, energie e risorse a formarsi. La conseguenza è quella drammatica di una quota incredibilmente alta di laureati che fuggono all’estero per cercare condizioni migliori.
Fonte: Pagella Politica, 2022
Tenetevi forte ora: questo problema sono anni che proviamo a risolverlo, senza mai riuscirci. Anzi, probabilmente siamo peggiorati: abbiamo gli stipendi tra i più bassi in Europa. Eccovi i dati: A fronte di un salario medio lordo di 37,4 mila euro annui dei Paesi dell’Eurozona, in Italia lo stipendio medio rimane drammaticamente sotto i 30mila euro. Addirittura l’Italia è l’unico Stato dei Paesi membri OCSE in cui i salari sono diminuiti negli ultimi 30 anni (del 3% per l’esattezza).
Dunque, ricapitolando. Abbiamo lavoratori meno preparati rispetto ad altri Paesi europei, una quota dei quali decide (o è costretta) di spostarsi fuori dai confini nazionali per trovare lavoro all’estero. Quelli che rimangono sono pagati poco (a parità di condizioni lavorative), sicuramente meno dei loro colleghi stranieri. Oltretutto, molti faticano a trovare un’occupazione stabile. Abbiamo discusso molto in questi anni dell’importanza della mobilità sul mercato del lavoro e sulla presunta fine del “posto fisso”. Tutto vero: la mobilità è un valore aggiunto. Ma se il sistema non sostiene coloro i quali, per volontà o per esigenza, si trovano a svolgere lavori in condizioni di precarietà, quest’ultima finisce per essere una debolezza anziché un punto di forza.
Un’ultima cosa prima di passare ad analizzare più in dettaglio la mobilità. Abbiamo detto che parleremo di Italia in questo post e dunque non possiamo approfondire oltre il necessario le condizioni dei nostri colleghi europei (che comunque, come ci dicono i dati che stiamo esaminando, si trovano mediamente in condizioni migliori rispetto agli italiani). Vale però la pena ricordare che quello della scarsa competitività delle risorse umane è un problema europeo, che ci rende in generale meno competitivi su scala globale.
Vi facciamo un solo esempio, quello delle competenze in ambito di intelligenza artificiale. Il Global AI Talent Tracker monitora il mercato globale delle competenze in questo settore: 28% dei migliori talenti nel campo dell’IA si forma negli Stati Uniti. Il 26% in Cina. Tra i Paesi europei, gli unici Stati rilevanti sono Francia (con una quota del 5%) e Germania (4%). Inoltre il 57% dei più bravi nel campo dell’IA lavora proprio negli States. Il 12% in Cina. Per Francia e Germania la quota scende a 4%.
Fonte: Global Talent Tracker, 2024
Uno Sguardo alla mobilità. Chi cambia lavoro in Italia e quando?
Concentriamoci sulla mobilità professionale. Iniziamo dal dire che il quadro è molto variegato. Per cui occorre anzitutto fare un po’ di ordine, e provando a fare un po’ di distinguo in base all’età, al genere, al settore professionale, alla qualificazione e alla mobilità intra- ed extra-nazionale.
- Iniziamo dalla mobilità in base all’età. Gli italiani, in generale, cambiano lavoro meno frequentemente rispetto ad altri paesi, ma ci sono stati aumenti significativi di cambi di lavoro tra i giovani rispetto alle altre fasce d’età. È, tutto sommato, plausibile: in generale, i giovani, soprattutto quelli con alta qualificazione, tendono a cambiare lavoro più frequentemente, spesso anche per opportunità all’estero, dove cercano condizioni lavorative e salariali migliori. Al contrario, tra i lavoratori che hanno cumulato un’esperienza professionale più lunga, il tasso di mobilità tende a essere più basso. In questi casi la permanenza nel medesimo posto di lavoro per lunghi periodi può essere giustificata dall’opportunità di accedere a percorsi di formazione avanzata e soprattutto alla possibilità di migliorare la propria posizione all’interno dell’azienda. Va poi aggiunto che, con una popolazione che invecchia rapidamente, il numero di lavoratori potenzialmente interessati alla percentuale di cambiamento va diminuendo.
Fonte: Enzima12, 2023
Veniamo alla mobilità per genere, riprendendo il discorso dell’invecchiamento della popolazione lavorativa. Nel nostro Paese, la velocità di invecchiamento della forza lavoro femminile è più accentuata rispetto a quella maschile (7,7 anni rispetto a 5,3 tra il 1993 e il 2022), con un’età media che nel 2022 ha superato di un decimo quella degli uomini. Il processo di invecchiamento della forza lavoro riguarda tutto il territorio nazionale. Al netto di questo fattore, in Italia le donne lavorano meno degli uomini (dovendo spesso occuparsi delle incombenze familiari), guadagnano meno e inevitabilmente sono meno mobili professionalmente dei loro colleghi maschi. Di questi problemi si discute da tempo, senza che purtroppo il nostro Paese sia ancora riuscito a trovare una soluzione.
Fonte: Enzima12, 2023
- Il terzo punto da considerare è quello della mobilità per settore professionale e qualifiche. In Italia, il settore delle tecnologie dell'informazione è quello che mostra il maggior tasso di turnover, con circa il 12% degli impiegati che cambiano lavoro ogni anno. Questo è spesso dovuto alla rapida evoluzione tecnologica che richiede competenze costantemente aggiornate e alla forte domanda di specialisti IT sia a livello nazionale che internazionale. Al contrario, settori come l’educazione e la sanità pubblica mostrano tassi di mobilità molto più bassi, generalmente intorno al 3-4%, riflettendo una maggiore stabilità occupazionale e, in alcuni casi, maggiori barriere all’entrata. Pensate che il solo settore agricolo ha visto una diminuzione significativa di lavoratori negli ultimi anni, con una perdita di oltre 63 mila lavoratori tra il 2019 e il 2022.
Fonte: InnovationPost, 2023
C’è poi da considerare la mobilità dentro e fuori l’Europa. Come abbiamo già detto, purtroppo la quota dei professionisti in uscita è maggiore di quella di coloro che entrano o rientrano nel nostro Paese. Di questa “fuga di cervelli” si è detto moltissimo, senza purtroppo mai riuscire a risolverla completamente. Un aiuto in tal senso lo hanno dato le agevolazioni fiscali che favoriscono il rientro dei lavoratori dall’estero, garantendo loro condizioni più vantaggiose per un periodo di tempo definito.
Fonte: Corriere Economia, 2024
Si può aumentare la soddisfazione dei lavoratori italiani incentivandone la mobilità?
Appurato quindi che le condizioni che definiscono il tasso di mobilità dei lavoratori italiani sono molteplici e sono perlopiù legate alle criticità che affliggono il nostro mercato del lavoro, proviamo a concludere passando in rassegna qualche strategia utile a chi volesse provare a gestire le trasformazioni della propria professione in modo più gratificante.
Il primo aspetto da prendere in considerazione sono le condizioni che sta attraversando il nostro mercato lavorativo. Per cambiare, occorre conoscere bene cosa si lascia e in che direzione ci si muove, no? Nel 2023 l’aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali (in risposta alla crescita dell'inflazione) ha aggravato le condizioni finanziarie per l’accesso al credito per le imprese, influenzando negativamente il mercato del lavoro. Ne è dimostrazione il mismatch tra domanda e offerta: molti cercano ma non trovano, e chi prova a spostarsi non sempre accede a offerte vantaggiose.
Fonte: Enzima12, 2023
In questi casi le armi migliori di cui dispongono i lavoratori sono due: la prima, e più importante, è l’aggiornamento delle competenze. Aggiornarsi costantemente attraverso corsi e certificazioni, soprattutto in ambiti ad alta domanda come il digitale, è la porta di ingresso principale per nuove opportunità di carriera. Ne abbiamo scritto molte volte proprio sulle pagine di questo blog.
Fonte: Medium, 2024
Formarsi non basta, bisogna confrontarsi con gli altri. La seconda arma segreta a disposizione dei lavoratori che vogliono provare a migliorarsi e cambiare occupazione è costruire e mantenere una rete di contatti professionali. Eventi, conferenze e piattaforme online sono strumenti utili per connettersi con potenziali datori di lavoro o collaboratori.
Terzo consiglio: coltivare la flessibilità e adattabilità. In un mercato del lavoro che cambia così rapidamente, essere disposti a reinventarsi e adattarsi a nuovi ruoli non è importante, è essenziale. Questo può significare anche considerare carriere in settori completamente diversi da quello di partenza. Ricordate che mentre alcuni settori registrano un aumento del turnover a causa delle dimissioni volontarie e delle politiche di incentivo all’uscita, altri invece tendono alla stabilizzazione o addirittura registrano una diminuzione del turnover, anche grazie a politiche di sostegno come la cassa integrazione. L’ideale è quindi coltivare competenze trasversali che possano aiutarvi a essere spendibili su più fronti, resistendo meglio alle trasformazioni imposte da tecnologia, crisi, politiche lavorative e andamento economico altalenante.
Quarto consiglio: perché non provare a utilizzare servizi di consulenza professionale? L’aiuto di un esperto può fornire guida e supporto nel navigare il cambiamento di carriera, offrendo una valutazione delle competenze e aiutando nella ricerca di opportunità allineate con le proprie aspirazioni e capacità.
Fonte: Faster Capital, 2023
Ed eccoci arrivati alla fine. Abbiamo analizzato moltissimi dati, provando a capire cause e conseguenze del turnover sul lavoro. Se pensate che cambiare sia difficile avete ragione, ma non bisogna scoraggiarsi. Molti riescono applicando una strategia attenta e lavorando su sé stessi. E voi siete pronti a iniziare la vostra ricerca?