Formazione: lauree e master, quali sono i percorsi formativi che danno più sbocchi lavorativi?
Una cosa sola è certa: mai smettere di formarsi
Se avete iniziato a leggere è probabile che siate desiderosi di avere subito una risposta chiara alla domanda che dà il titolo a questo post. Cosa conviene studiare se si vuole trovare lavoro subito e senza penare troppo?
Non c’è dubbio. La vostra è una curiosità legittima. Che siate studenti, o docenti, formatori oppure professionisti con un lungo percorso professionale alle spalle, avete ragioni valide per essere interessati a conoscere i settori in cui il passaggio tra la fase della formazione a quella del lavoro è più rapido e garantisce un alto tasso di soddisfazione a entrambe le parti: chi cerca e chi offre lavoro.
Vi accontentiamo: limitandoci all’Italia e prendendo in considerazione i dati più aggiornati forniti da Almalaurea (che coinvolge circa 660,000 laureati di 78 atenei, fotografando la situazione occupazionale a 1,3 e 5 anni dal conseguimento del titolo) nel nostro Paese la top3 dei percorsi formativi che offrono le migliori opportunità di accesso al mondo del lavoro sono:
- I laureati in informatica e tecnologie ICT. Circa il 95,6% dei laureati in informatica trova lavoro entro cinque anni dal conseguimento del titolo. Questo settore include percorsi legati all’ingegneria informatica, allo sviluppo del software, alla sicurezza informatica e all’analisi dei dati. Tra gli atenei più importanti in questo settore c’è sicuramente il Politecnico di Milano.
- Seguono a breve distanza i laureati in ingegneria, e specificamente quelli che conseguono una laurea in ingegneria industriale, gestionale ed elettronica. In questo caso, circa il 94,8% dei laureati in queste materie trova lavoro entro cinque anni dal conseguimento del titolo. Anche qui fanno da traino i Politecnici. Su tutti quello di Milano e quello di Torino.
- Al terzo posto c’è il settore medico e farmaceutico. Qui il tasso di occupazione a cinque anni dal conseguimento del titolo si attesta al 92,9% e gli atenei più importanti dove formarsi sono l’università statale di Milano e quella di Bologna.
- La prima è che se dovessimo basare le nostre scelte esclusivamente sulle statistiche, perderemmo una parte importante di informazioni altrettanto preziose. Per esempio, come considerare la quota di coloro che non hanno una predisposizione per materie tecniche o ingegneristiche, ma vorrebbero provare ad assecondare pulsioni e interessi in ambiti diversi, ad esempio creativi o artistici? Inoltre: come considerare i percorsi formativi meno battuti ma potenzialmente promettenti dal punto di vista occupazionale? Se proviamo a guardare la classifica che lega i percorsi formativi al mercato del lavoro nel suo insieme, ci rendiamo conto immediatamente che, subito dopo le lauree ad alto tasso di occupazione, ci sono moltissime altre proposte formative interessanti e promettenti. La conclusione più evidente è che una risposta categorica e definitiva alla domanda su quali lauree offrono più occasioni di lavoro è, nella migliore delle ipotesi, fuorviante.
- La seconda ragione per cui non dovremmo fermarci alle classifiche e alle risposte assolute è che anche la migliore laurea o master in una delle materie che danno le migliori possibilità di accesso al mondo del lavoro, non garantiscono alcuna certezza. Tutt’altro. Ci sono altri fattori da considerare e che possono fare la differenza: la capacità di costruire relazioni professionali, la mobilità e in alcuni casi anche il possesso di competenze complementari a corredo di quelle di base. Il punto è che, al di là del percorso di studi che si completa, occorre formare continuamente le proprie competenze, adeguarle rispetto alle novità di mercato, renderle insomma “a prova di futuro”.
Ed è per questo stesso motivo che l’unica vera certezza è quella della formazione continua. Al di là del percorso formativo che si sceglie, è fondamentale aggiornare le competenze e le nozioni apprese sui banchi di scuola, università e master, cercando di rimanere aggiornati, competitivi professionalmente e dunque appetibili per le aziende.
Pensate sia scontato? Dovreste ricredervi. Fino a 3 anni fa il tasso di partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente nell’Unione Europea non superava l’11%. Le cose sono migliorate da allora, ma non in modo radicale. Lo sviluppo delle competenze è ancora considerato un obiettivo secondario da molti, almeno nel mercato del lavoro europeo.
Tutte queste considerazioni mettono in discussione la risposta che vi abbiamo appena dato. Per renderla più completa bisogna aggiungere qualche elemento di complessità. Iniziamo dai trend che stanno segnando il mondo delle professioni, fermiamoci poi un attimo sulle soft skills e sulla mobilità. Vedremo, al termine di queste considerazioni, che il ventaglio delle scelte possibili è molto più ampio di quanto possa apparire fermandoci ai dati di superficie.
Perché alcune carriere promettono meglio di altre. Uno sguardo ai trend che muovono il mercato professionale
Ripartiamo da una domanda: vi siete chiesti perché ingegneri, laureati ICT e medici sono i professionisti più richiesti, o comunque quelli che trovano lavoro prima di tutti gli altri?
Perché c’è domanda di mercato, ovvio. Ma il punto è che la domanda di queste competenze (e dunque l’incontro con l’offerta) rimane alta grazie alla capacità che hanno di intercettare al meglio e rapidamente le trasformazioni che attraversano il mercato del lavoro e che ci portano direttamente al futuro delle professioni.
La prima grande tendenza è sicuramente quella che include la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica, a tutto tondo. Un dato eclatante: oltre 85% delle aziende in tutto il mondo indicano nell’adozione di nuove tecnologie e nell’ampliamento del digitale i motori principali delle trasformazioni del settore.
Se la trasformazione digitale è una tendenza, allora le professioni disponibili sono molto più numerose degli sviluppatori di software o delle figure tecniche. Per chi volesse cimentarsi lungo questo percorso, le scelte non mancano di certo. Eccovi alcuni esempi:
- La Graduate School of Management del Politecnico di Milano mette a disposizione degli studenti un master che si concentra sulla digitalizzazione del settore pubblico, offrendo una panoramica delle metodologie e degli strumenti necessari per gestire la trasformazione digitale nella pubblica amministrazione. Il programma dura 12 mesi e include 3 mensilità di project work, con un approccio multidisciplinare che copre sia aspetti teorici che pratici.
- Siete alla ricerca di un’offerta mirata che vi dia gli strumenti giusti per conoscere gli aspetti più affascinanti e complessi della trasformazione digitale? Allora potrebbe fare al caso vostro H-FARM College, che mette a disposizione degli interessati programmi universitari e master focalizzati su temi come Digital Business & Management, Data Science, Digital Marketing, e Entrepreneurship. Questi corsi sono progettati per formare professionisti in grado di guidare la trasformazione digitale nelle aziende e di utilizzare le nuove tecnologie per migliorare le performance aziendali.
- Non tutti hanno il tempo o le risorse per studiare a tempo pieno. Questo non significa che debbano rinunciare a formarsi. Ad esempio, per chi volesse specializzarsi nel settore dell’intelligenza artificiale, un esempio interessante è “Elements of AI”: un corso online gratuito sviluppato dall’Università di Helsinki e promosso in Italia dall’Università degli Studi Roma Tre, che combina teoria ed esercizi pratici per comprendere meglio l’intelligenza artificiale e le sue applicazioni. A proposito di intelligenza artificiale. Se cercate invece qualcosa di più strutturato non avete che l’imbarazzo della scelta. Abbiamo in Italia oltre 160 curricula universitari, incardinati in 53 Atenei, che erogano insegnamenti collegati alla materia. C’è anche un dottorato nazionale in intelligenza artificiale, articolato in 5 dottorati federati che raggruppano 61 università ed enti di ricerca.
Un secondo trend di cui tenere conto sono le vulnerabilità economiche globali, composte da un insieme di fenomeni: l’inflazione elevata, le turbolenze geopolitiche che scuotono le relazioni internazionali, il rallentamento delle catene di approvvigionamento e più in generale le fasi recessive che attraversano molte economie nazionali. Sommate assieme, queste vulnerabilità condizionano le scelte di moltissime aziende, con alcuni settori più colpiti di altri: tra questi l’agricoltura, l’industria manifatturiera e i servizi. Lo studio sul Talent Gap del PMI rivela che entro il 2030 saranno necessari circa 25 milioni di nuovi professionisti nella gestione dei progetti.
Ecco un motivo valido per cui vanno forte tutte le lauree che formano persone competenti alla gestione e organizzazione dei processi, come appunto le lauree ingegneristiche. Ma proprio il fatto che occorrano persone in grado di gestire processi aziendali in condizioni instabili, amplia notevolmente il quadro delle scelte, oltre le opzioni più classiche. Vediamone alcune:
- Abbiamo citato prima i Politecnici milanese e torinese tra i migliori disponibili. Ma non gli unici. Un corso di laurea in Ingegneria Gestionale particolarmente apprezzato lo offre anche l’Università di Modena e Reggio Emilia, che propone percorsi specializzati come ICT - Industrie digitali e creative e ICT - Data Management. Ma il vero punto di forza di questo ateneo è che offre ai propri studenti anche numerose opportunità di tirocini e collaborazioni con aziende locali e internazionali, oltre a una vasta gamma di programmi di mobilità come Erasmus+. Vedremo dopo quanto è importante arricchire le proprie competenze con periodi di formazione e lavoro all’estero.
- Siete alla ricerca di un percorso integrato, che combini formazione tradizionale a competenze “laterali”? Un’offerta interessante da questo punto di vista è quella proposta dalla Federico II di Napoli. Il percorso integrato pensato dall’ateneo favorisce il networking e l’integrazione degli studenti in attività extra-formative. Include orientamento in ingresso, in itinere e accompagnamento al lavoro.
Darvi le ragioni per cui la richiesta di personale medico e infermieristico è sempre molto alta sarebbe scontato. Vogliamo però farvi riflettere su qualcosa che può aiutarvi a capire perché questo tipo di professione rimane estremamente richiesta, al punto da far registrare ovunque in Europa un disavanzo importante tra il numero di professionisti disponibili sul mercato e quello di cui ci avrebbero effettivamente bisogno gli organici di ospedali e centri di cura, pubblici e privati. Si tratta di questo: i governi di tutta Europa stanno rapidamente procedendo sul fronte della digitalizzazione dei dati e servizi sanitari. L’Italia, con il fascicolo sanitario elettronico, è tra questi. Eppure, l’elemento umano rimane fondamentale – se non addirittura più importante di prima. Pensate che da noi in Italia su 5 miliardi di referti e ricette indicizzati negli ultimi 3 anni dal sistema informativo nazionale del governo, ben 4 miliardi e 400.000 sono il prodotto dell’attività di 50.000 medici di famiglia italiani. Insomma, il punto è che, digitalizzazione o meno, la componente umana e il lavoro dei medici rimangono un punto centrale per il funzionamento delle società contemporanee.
Abbiamo citato quasi esclusivamente esempi di percorsi di formazione universitaria, ma è chiaro il principio. Se riuscite a intercettare uno di questi trend, può valere la pena anche scalare e dedicare il proprio tempo e risorse alla formazione di master avanzati. Del resto, ecco tre dati che parlano da soli:
- Negli ultimi 10 anni la percentuale di top manager in possesso di un Master Executive in Business Administration (MBA) è aumentata costantemente in tutti i Paesi industrializzati. Addirittura in Nord America il 54% degli amministratori delegati ha conseguito un MBA.
- Con nuove competenze specializzate sarete anche in una posizione privilegiata per gestire i problemi che possono presentarsi sul lavoro. LinkedIn research sostiene che management, comunicazione e il servizio client saranno tra le competenze più richieste nel 2024.
- Inoltre, aspetto da non sottovalutare, le competenze specialistiche in campi come il marketing, l’analisi dei dati e lo sviluppo di software possono aiutare a guadagnare stipendi elevati. Ad esempio, come scienziato dei dati potreste arrivare a guadagnare una media di $152,074, oppure come ingegnere DevOps il vostro salario medio potrebbe aggirarsi sui $123,122 negli Stati Uniti.
Per concludere su questo punto: abbiamo provato a spiegare meglio perché alcuni percorsi di formazione trovano uno sbocco più rapido nel mondo delle professioni. Il motivo è che sono allineati con le macro-tendenze che segnano le nostre economie e società. Ma al tempo stesso abbiamo provato a mostrarvi come, nel solco di queste tendenze, siano possibili occupazioni e professionalità anche molto diverse. Vogliamo continuare in questa direzione. Vediamo ora cos’è importante oltre lo studio, per definire una carriera lavorativa soddisfacente.
Cosa c’è oltre lo studio? L’importanza delle soft skills e della mobilità
Avete alle spalle un percorso universitario o post-universitario brillante? Benissimo. Ma sappiate che questo non farà necessariamente di voi i candidati ideali per il lavoro a cui ambite. Invece, una solida base di studio, unita a un bagaglio di competenze aggiuntive vi daranno quella marcia in più che può essere la chiave per ottenere il lavoro.
- La prima caratteristica sono le soft skills: la creatività, la curiosità, la capacità empatica e l’intelligenza emotiva. Ognuna di queste competenze è importante e merita di essere coltivata contestualmente alla preparazione tradizionale. Pensate che il World Economic Forum ha inserito proprio l’intelligenza emotiva tra le 10 principali competenze necessarie ai lavoratori già nel 2020. Nel 2023, il 58% di ciò che determina il successo in un settore professionale veniva attribuito proprio a questo tipo di intelligenza. C’è poi la capacità di generare nuove idee e approcci innovativi: avere una mentalità aperta e creativa può essere un’arma potente a favore del lavoratore per gestire complessità e sfide professionali. Infine, la capacità di creare relazioni. Pensate che oltre il 95% dei professionisti sostiene che gli incontri faccia a faccia sono necessari per fare business. Questo perché il networking in persona offre una prima impressione più accurata rispetto agli incontri online.
- Parliamo di mobilità. Nel 2023, oltre metà delle aziende globalmente ha messo in conto un incremento in vari aspetti di mobilità del proprio personale. Ad esempio i viaggi di lavoro (70%), oppure lo svolgimento di incarichi virtuali (59%) o, viceversa, incarichi a breve termine (59%). Pensate che, a livello globale, il 30% dei “working-expats” (persone che vive e lavora stabilmente in un Paese diverso da quello di nascita) ricopre una posizione senior/specialistica, il 17% occupa una posizione di middle-management, e il 13% è composto da top manager/dirigenti. Il dato sembrerebbe chiaro: ci muoviamo verso la richiesta di una forza lavoro sempre più dinamica e integrata a livello globale, che abbia a disposizione competenze qualificate che la rendano spendibile in contesti diversi.
Si parla a proposito di Pay-for-skills – e cioè della tendenza a retribuire in base alle competenze di cui si dispone, in qualsiasi contesto geografico o lavorativo. nel 2023 il 36% degli esperti di risorse umane ha citato tra le priorità da raggiungere il ripensamento dei criteri retributivi, al fine di concentrarsi propriamente sulle competenze piuttosto che sui ruoli. Anche in questo caso, si tratta di un chiaro spostamento in direzione di una forza lavoro qualificata e mobile.
Prima di concludere. Uno sguardo all’automazione e alla competizione
Potevamo concludere senza tornare a parlare di futuro? Quello delle professioni ha molte incognite, ma anche due certezze: un alto tasso di automazione, che integrerà le professioni a tutti i livelli e una competizione feroce per attrarre e trattenere i più talentuosi.
Noi pensiamo sia importante tenere presente queste due certezze, per includerle nella lista di cose da considerare nel momento in cui si sceglie un percorso di studi.
La prima certezza, l’automazione, non deve spaventarci. Proviamo a considerarla per quello che è realmente: un’opportunità. La combinazione tra lavoro umano e assistenza robotica significa maggiore efficienza, tempi più brevi e dunque maggiori opportunità di crescita.Attenzione però perché più automazione significa anche meno posti di lavoro non qualificati. Ed è su questo punto che dobbiamo tenere gli occhi aperti. Purtroppo in un mercato del lavoro ad alto tasso di automazione, quelli più a rischio sono soprattutto coloro che non hanno competenze specializzate e dunque svolgono mansioni che possono essere rimpiazzate da un algoritmo. Torniamo a citare dati che abbiamo riportato molte volte, ma che è sempre utile avere bene a mente:
- Secondo il World Economic Forum da qui al 2028 creeremo circa 69 milioni di nuovi posti di lavoro globalmente, e ne perderemo almeno 83 milioni, principalmente a causa dell’automazione.
- L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha stimato che da qui ai prossimi 20 anni negli Stati Uniti il 47% delle occupazioni correnti rischia di essere automatizzata. Qualcuno ha provato anche a quantificare questo dato, arrivando alla conclusione che saranno all’incirca 73 milioni i posti di lavoro “evaporati” entro il 2030.
- Anche in Europa le stime non sono particolarmente esaltanti. Si parla di una cifra compresa tra il 23% e il 29% della forza lavoro complessiva che sarebbe a rischio a causa della diffusione degli algoritmi. Il tutto aggravato dal fatto che da noi in Europa il lavoro qualificato nelle aree scientifiche e tecniche è inferiore rispetto al Nord America. Secondo Eurostat, il 62% delle imprese europee soffre una carenza di lavoratori con competenze digitali.
Basta prendere l’esempio dell’intelligenza artificiale per rendersene conto. Il Global AI Talent Tracker, che monitora il mercato globale delle competenze in questo settore, ci dice che il 57% dei più bravi nel campo dell’Intelligenza artificiale trova lavoro negli Stati Uniti. Il 12% in Cina. Mentre in Europa gli unici due posti con un minimo di capacità di attrazione sono Francia e Germania, la cui quota globale di talenti scende però al 4%.
Ecco perché oltre a tornare a ribadire la grandissima importanza della mobilità, questi dati ci dicono anche che è fondamentale per ogni lavoratore sapersi vendere bene e, come diciamo dall’inizio, non smettere mai di formarsi.