Qualche settimana fa, durante una cena con alcuni HR Director delle aziende con cui lavoriamo, mi è diventata chiara una cosa: siamo oltre la fase del "dobbiamo capire l'AI". Quello che serve oggi – e lo vedo ogni giorno nei nostri campus di Talent Garden – non sono tutorial su ChatGPT o workshop su come scrivere prompt. Serve qualcosa di più profondo, più umano, più coraggioso.

L'intelligenza artificiale non è più una tecnologia da implementare. È una discontinuità e la differenza non la fa la preparazione tecnica, ma quella mentale.

Dopo aver accompagnato decine di aziende in questa trasformazione, abbiamo identificato 5 competenze che fanno davvero la differenza. Non sono quelle che trovate nei report di qualche big consulting. Sono quelle che vediamo quotidianamente funzionare sul campo.

  1. Visione umana-tecnologica
    Sapete cosa mi ha colpito di più nell'ultimo anno? Le aziende che stanno vincendo con l'AI non sono quelle con i CTO più bravi. Sono quelle che hanno capito che l'AI è prima di tutto una questione umana. Non serve saper programmare in Python – serve capire come cambia il lavoro di Mario in amministrazione, come evolve l'esperienza di Francesca che compra i nostri prodotti, come si trasforma il valore che produciamo.

    È buffo: per anni abbiamo affidato l'innovazione ai tecnici. Oggi, nelle aziende più illuminate, sono gli HR Director a guidare la trasformazione AI. Perché hanno capito che non stiamo installando un software. Stiamo ridefinendo come lavoriamo, pensiamo, creiamo valore.
  1. Costruire organizzazioni adattive
    Qualche giorno fa ero nel nostro campus di Roma e ho parlato con una startup che era al suo terzo pivot in un mese. Tre volte. E senza traumi. Ecco, le aziende che prosperano con l'AI sono così: liquide, evolutive, capaci di cambiare forma senza perdere sostanza.

    Ma – e qui sta il punto che molti non colgono – un'organizzazione adattiva non si costruisce con i reorg o le consulenze strategiche. Si costruisce con la formazione continua. Non parlo di corsetti e-learning da fare la domenica sera. Parlo di ecosistemi di apprendimento dove le persone hanno il diritto (e il dovere) di evolversi costantemente.

    In Talent Garden lo vediamo ogni giorno: le aziende che investono in formazione trasformativa – non informativa – sono quelle che riescono davvero a surfare l'onda dell'AI invece di esserne travolte.
  1. Abbracciare l'incertezza (e il rischio creativo)
    Un CEO mi ha detto recentemente: "Giuseppe, con l'AI mi sento come quando ho imparato a sciare: più cerco di controllare, più cado". Aveva ragione. L'AI punisce la rigidità e premia chi sa muoversi nell'incertezza con curiosità invece che con paura.

    Nei nostri programmi insistiamo ossessivamente su questo: test, prototipo, fallimento veloce, nuovo test. È il metodo startup applicato alle corporate. E funziona. Ma richiede coraggio. Il coraggio di dire "non lo so, proviamo" invece di "abbiamo sempre fatto così".
  1. Rendere le persone parte attiva della trasformazione
    Questa è la mia preferita, e vi spiego perché. L'AI di oggi – ChatGPT, Claude, Gemini – può essere usata da chiunque. Non serve saper codare. Mia madre potrebbe creare un'app. Questa democratizzazione è rivoluzionaria

    Ma cosa significa per le aziende? Che non puoi più permetterti di avere spettatori. Tutti devono essere protagonisti. È come quando ho fatto il mio album a 50 anni: non bastava avere i musicisti giusti, serviva che tutti si sentissero parte del progetto, che tutti contribuissero creativamente.
    Quando la tecnologia diventa accessibile a tutti, l'inclusione non è più una scelta politically correct. È una necessità strategica. O coinvolgi tutti, o fallisci.
  1. Etica, trasparenza e coerenza
    Ultima cosa, ma forse la più importante. Siamo usciti dall'era del greenwashing per entrare in quella dell'AI-washing. Tutti dicono di fare AI. Pochi la fanno davvero. E sapete qual è la differenza? L'AI rende tutto misurabile, verificabile, trasparente.

    Non puoi più bluffare. Se dici "usiamo l'AI per migliorare il customer service" e poi il tuo chatbot è stupido, la gente se ne accorge in 30 secondi. L'AI è uno specchio spietato: amplifica i tuoi punti di forza ma espone impietosamente le tue incoerenze.

    Come diciamo sempre in Talent Garden: non si tratta di "parlare di AI", ma di meritarsi il diritto di parlarne. È la differenza tra chi usa l'AI come leva strategica e chi la usa come buzzword per le investor presentation.

    E alla lunga – credetemi – il mercato sa riconoscere la differenza. Sempre.
Articolo aggiornato il: 25 novembre 2025
Giuseppe Mayer
Scritto da
Giuseppe Mayer, CEO @ Talent Garden Italia

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